Descrizione
La versione integrale in tre parti!
Da Roma a Capua Vetere
Nel 312 A.C. Appio Claudio il Cieco progettò la via Appia, inizialmente per collegare Roma a Casilinum, ovvero l’odierna Santa Maria Capua Vetere. Parte da Roma il viaggio a piedi lungo l’Appia Antica, in bilico tra sdegno e incantamento, nel segno di Orazio, che scrisse una celebre satira sulla Regina Viarum, e di Antonio Cederna, che si batté per tutta la vita per salvaguardare l’Appia dalle speculazioni edilizie. Attraversando Albano Laziale, Ariccia, Cisterna di Latina, si giunge ai Colli Albani e al rettilineo più lungo d’Italia. Attraversato l’Agro Pontino si raggiunge Terracina, e lì la strada raggiunge la prima volta il mare. Lungo il percorso, contadini, maestri di ballo, bariste, custodi di monumenti, pellegrini, menestrelli si uniscono al cammino.
Da Capua Vetere a Melfi
A Capua Vetere ci fu la rivolta di Spartaco, che finì con la crocefissione dei ribelli lungo la via Appia.
Dall’antica Casilinum comincia poi la conurbazione del casertano: San Nicola La Strada, Maddaloni, Messercola, Montesarchio.
Sulle Forche Caudine, dove i Romani furono mazziati dai Sanniti, fi niscono i frutteti e le bufale, si aprono i campi di grano e tabacco, e l’Appia incrocia i tratturi degli Irpini, Dauni, Lucani, Messapi.
A Benevento l’imponente Arco di Traiano segna l’inizio della via Traiana, la variante adriatica della via Appia. Ma il gruppo non cede alla tentazione della via più breve e continua sul percorso originale, raggiungendo Mirabella Eclano.
Ormai il viaggio affonda sempre di più nel sud e nelle sue contraddizioni, sospeso tra antico e moderno.
Altri camminatori si uniscono al gruppo: Marco Ciriello, giornalista trapezista, l’archeologa Sandra Lo Pilato e Vinicio Capossela.
Da Melfi a Brindisi
Melfi, Venosa, Gravina, Altamura, Taranto, l’Ilva, Oria, Brindisi e poi l’affaccio a Oriente. Tra Basilicata e Puglia, vano è cercare qualcosa di romano. Nei centri abitati, la geometria dell’angolo retto è stata completamente cancellata dal labirinto medievale. Hai il segno longobardo e normanno nell’architettura, gli agrumeti e i mandorli degli arabi, le tombe degli ebrei, ma non Roma. La logica del rettilineo ha senso strategico e commerciale, è fatta per sorvolare e attraversare in fretta, non per conoscere, e così ti chiedi se la distanza abissale che esiste ancora in Italia fra i grandi flussi di traffico e luoghi della memoria non sia nata allora. Perché le nostre autostrade snobbano i microcosmi di cui è ricco il Paese e ignorano la viabilità minore? Perché in Germania o Francia, al contrario, la segnaletica ostenta un rapporto intimo col territorio? Forse, duemila anni fa, i popoli italici hanno guardato al rettilineo romano con la stessa ostilità con cui noi guardiamo oggi alle pale eoliche. Nell’aria, in compenso, un preludio di Grecia, percepibile nella musica della lingua e dei cognomi, nella calce bianchissima delle masserie, nella leggenda di Taranto e negli orti metapontini, per non parlare dei muretti a secco e delle donne in nero, dei capannelli degli uomini con le mani dietro la schiena, o dei canti di chiesa fatti più per archimandriti che per parroci. E l’ombra di Federico II di Svevia, evocata dal grande scrittore Raffaele Nigro.
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